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ASSEMBLEA NAZIONALE CONFARTIGIANATO, intervento del presidente Guerrini

Assemblea 2008

Roma, Auditorium Parco della Musica, sala Sinopoli, 12 giugno 2008

 

Autorità, Colleghi imprenditori, Signore e Signori,

a tutti voi porgo il benvenuto alla nostra Assemblea.

Saluto il Presidente del Consiglio, On. Silvio Berlusconi, e lo ringrazio per aver accettato il nostro invito ad essere presente con noi oggi, in questa Assemblea che coincide con i primi atti del nuovo Governo.

Presidente, ci siamo incontrati lo scorso 27 marzo, durante la campagna elettorale, ed in quella occasione Lei ebbe modo di condividere le nostre proposte per valorizzare il ruolo delle micro e piccole imprese fino a 20 addetti e porle al centro degli interventi per rilanciare la competitività del Paese.

Quelle micro e piccole imprese che noi abbiamo ribattezzato con l’acronimo MPI e che rappresentano il 98% del sistema imprenditoriale italiano.

“C’è la stabilità politica necessaria per avviare riforme e per decidere.

Ci sono i presupposti per un nuovo miracolo economico”

Avevamo auspicato che finalmente il Paese potesse beneficiare di una reale ed effettiva governabilità.

Ebbene, oggi, la chiarezza del risultato elettorale, l’ampiezza del consenso di cui gode la maggioranza e il dialogo con l’opposizione ci fanno ben sperare nell’avvio di una stagione feconda, ricca delle azioni riformatrici che il Paese attende da molto, troppo tempo e che potranno portare l’Italia ben oltre la media dei risultati raggiunti dagli altri Paesi dell’Unione europea.

Oggi ci sono i presupposti per far tornare il Paese ad essere protagonista di un nuovo miracolo economico.

Dobbiamo gettare il cuore oltre l’ostacolo. Non possiamo accontentarci di raggiungere l’Europa. Dobbiamo superarla.

Esistono le condizioni politiche di stabilità perché si apra una stagione di decisioni che non arretrano di fronte ai veti e ai tabù.

Non inseguiamo gli altri Paesi, sorpassiamoli.

E’ sperare troppo? Io sostengo che è possibile.

“Prendete esempio dalle piccole imprese”

Basterebbe prendere esempio da molte delle piccole imprese che noi rappresentiamo e che, dopo aver resistito alla tempesta della globalizzazione, oggi sono più forti e più robuste.

Come nel caso delle 160mila aziende manifatturiere con meno di 50 dipendenti che, tra il 1998 e il 2005 – anni di grande turbolenza sui mercati internazionali – si sono adattate ad un ambiente sempre più competitivo e sono riuscite addirittura ad aumentare l’occupazione di ben 96mila addetti, compensando il calo dei dipendenti nelle imprese più grandi.

Oppure penso alle 145mila aziende con meno di 20 dipendenti che investono di tasca propria ben 1,8 miliardi di euro l’anno in processi di innovazione e ricerca.

“Più coraggio e più orgoglio per fare le riforme

e per colmare i gap che ci separano dall’Europa”

Più coraggio e più orgoglio: di questo il Paese ha bisogno per colmare i gap che ci separano dall’Europa.

Coraggio ed orgoglio per toglierci di dosso le esitazioni che hanno frenato le grandi riforme in materia di liberalizzazioni, di semplificazioni, di welfare, di mercato del lavoro, di istruzione e formazione.

Ricominciamo a premiare l’etica del lavoro e della cultura d’impresa, abbandonando una volta per tutte i pregiudizi nei confronti delle piccole imprese, le assurde discriminazioni tra lavoro dipendente e lavoro indipendente.

Proviamo ad emulare la Francia che, tra le priorità del Rapporto Attali, raccomanda di agevolare proprio le piccole imprese con meno di 20 dipendenti.

Un’attenzione tanto più significativa se si considera che, in Francia, il peso degli occupati di questa tipologia di imprese è la metà rispetto all’Italia.

Lo sforzo di tutti deve essere rivolto a riconoscere e, soprattutto, a modificare proprio quelle distorsioni che ci confinano in posizioni poco invidiabili nelle classifiche internazionali.

Confartigianato è sempre stata tra i primi a denunciare ciò che non va.

Ma lo abbiamo fatto, e continuiamo a farlo, con lo spirito costruttivo di chi propone soluzioni, di chi è profondamente partecipe delle sorti del Paese, dei suoi successi, delle sue difficoltà e delle sue opportunità di miglioramento, che sono tante e sono connesse anche alla valorizzazione delle potenzialità delle nostre imprese.

BUROCRAZIA

“ No alla cultura del sospetto e dell’adempimento”

“Nel 2007 gli imprenditori hanno dovuto produrre 3 milioni di DURC per certificare

di essere in regola e di rispettare le leggi”

Lasciamoci per sempre alle spalle l’ottusa cultura del sospetto e dell’adempimento nei confronti dell’impresa.

Quella cultura che fa dell’Italia il primo produttore al mondo di DURC, il Documento Unico di Regolarità Contributiva!

Infatti, lo scorso anno i nostri imprenditori sono stati costretti a produrre 3 milioni di DURC per certificare di essere in regola e di rispettare le leggi.

E’ come se ciascun cittadino, ogni giorno prima di andare al lavoro, dovesse compilare un documento per dimostrare la propria onestà!

Vi sembra normale? E poi si parla di declino!

Noi chiediamo soltanto di fare gli imprenditori, non di passare 90 giorni all’anno a sbrigare pratiche burocratiche.

Noi chiediamo sanzioni e durezza per chi si pone fuori dalla legalità, per i furbi.

Ma pretendiamo tranquillità e semplicità di adempimenti per chi fa il proprio dovere.

Noi non ci sottraiamo all’assunzione di responsabilità in tutti gli ambiti nei quali la piccola impresa può e deve offrire un contributo di proposte e di fattiva collaborazione per migliorare il Paese.

Ha poco senso limitarsi a guardare e criticare. Credo che lo sport nazionale più praticato e deleterio sia proprio quello di attribuire sempre la colpa agli altri.

In questo vedo un grande rischio: quello di bloccarci tutti, quasi di compiacerci della sindrome del declino e della deriva.

Noi non stiamo dalla parte della protesta fine a se stessa.

MERCATO

“Lo Stato crei l’ambiente adatto per consentire alle imprese di produrre e di stare sui mercati”

I nostri imprenditori, quando ogni mattina aprono la loro azienda, hanno un obiettivo: riuscire a superare i concorrenti migliorando la qualità dei loro prodotti e servizi.

Chi perde tempo a piangersi addosso e ad autocommiserarsi per non essere all’altezza ha chiuso da un bel po’.

Il mercato non aspetta. Esige rapidità, intelligenza, voglia di farcela.

Questa è la legge non scritta della competizione economica dove vince la qualità delle imprese, non la loro dimensione.

Ovviamente, non vogliamo dare lezioni a nessuno. Suggerisco soltanto di provare ad imitare i nostri imprenditori, i tanti imprenditori che popolano il Paese.

Noi, Confartigianato e le imprese che ne fanno parte, ci mettiamo in discussione, senza timore. Ma poi decidiamo.

Lo stesso atteggiamento ci attendiamo di vederlo in coloro che hanno responsabilità di governo, nelle altre forze produttive, in tutti gli attori sociali.

Le imprese ed il Paese hanno bisogno di segnali inequivocabili, di scelte coraggiose e coerenti con l’obiettivo della crescita e che oggi sono finalmente possibili grazie alla solida maggioranza di cui il Governo dispone.

In una chiara opzione per la crescita, lo Stato deve innanzitutto creare l’ambiente adatto per consentire alle imprese di produrre e di stare sui mercati e così sarà nelle condizioni di ridistribuire la ricchezza prodotta.

Abbiamo ben presente la situazione congiunturale nazionale ed internazionale: basti dire che, nell’ultimo anno, il prezzo del petrolio è aumentato del 98%, i prezzi delle materie prime sono cresciuti del 57%, la rivalutazione dell’euro ha superato il 18%.

Così come ci sono purtroppo ben chiari – li viviamo ogni giorno sulla nostra pelle – i vincoli tutti italiani che frenano le nostre opportunità di sviluppo.

“Le prime scelte del Governo hanno offerto segnali positivi”

La resistenza al cambiamento, la tenace conservazione di privilegi e rendite di posizione hanno finora pervaso settori pubblici e privati.

E sono la causa di quei 100 divari da colmare segnalati nel nostro Rapporto che oggi presentiamo a chi ha la responsabilità e l’opportunità di cambiare le cose.

Le prime scelte del Governo hanno offerto segnali positivi. Segnali positivi, voglio dirlo, prima di tutto perché dopo tanto tempo si torna a vedere lo Stato, uno Stato autorevole e che ha la forza di scegliere e di attuare le sue scelte, nell’interesse pubblico e rispettando i cittadini.

Il caso del piano rifiuti a Napoli in questo senso è emblematico e in qualche modo esemplare di come, grazie all’ampia maggioranza e alla condivisione delle forze di opposizione, si possono interrompere spirali dannose e perverse che danneggiano le singole persone, le imprese, le comunità e la stessa nazione.

Noi vorremmo che il piano di sviluppo economico annunciato dall’Esecutivo si dispiegasse con analoga fermezza, consentendo allo stesso tempo una forte ripresa di fiducia di cittadini ed imprese ed un nuovo balzo in avanti dell’economia italiana.

In particolare, riteniamo che l’attuale livello di spesa pubblica, nazionale soprattutto, ma anche regionale, provinciale e comunale, debba essere al centro dello sforzo di razionalizzazione, contenimento e modernizzazione in senso più federalista.

MANOVRA TRIENNALE

“Semplificate il Paese!

Stop alla burocrazia che costa 11,4 miliardi alle micro imprese”

Alla vigilia della presentazione della prima parte della manovra triennale 2009-2011, siamo carichi di aspettative legate soprattutto alla semplificazione di tutto ciò che finora è stato inutilmente complesso e costoso per i cittadini e per le imprese.

Ad iniziare dalla Pubblica Amministrazione che, lo dicevo prima, troppo spesso oggi è percepita dalle imprese italiane come un ostacolo, come un’inutile zavorra.

Siamo nel Paese europeo a più alto tasso burocratico, dove è stabile una vera e propria dis-economia dell’adempimento, arretrata e distorsiva, che alle micro imprese costa 11,4 miliardi l’anno in oneri certificatori, ritardi, duplicazioni e rinunce a far valere i propri diritti.

Apprezziamo l’impegno del Ministro Renato Brunetta a modificare questa realtà anche attraverso il contributo di indicazioni delle parti sociali.

Così come abbiamo apprezzato il segnale lanciato dal Ministro Maurizio Sacconi con l’eliminazione di gravosi adempimenti in materia di appalti che avrebbero costretto migliaia di piccole imprese subappaltatrici a produrre milioni di inutili certificati.

E’ stato un importante segnale di semplificazione: ora la sfida consiste nel procedere sul fronte della deregolamentazione per eliminare il fardello di normative che ingessano il mercato del lavoro, ben al di là dei fondamentali obiettivi di tutela dei lavoratori e senza sostanziali benefici né per loro, né per le imprese.

Sappiamo di avere nel Ministro Roberto Calderoli un sicuro alleato contro l’eccesso di norme che soffocano il Paese: lo incitiamo a procedere senza indugi a disboscare la ‘giungla’ delle leggi vigenti in Italia, quasi 22mila, vale a dire più del doppio rispetto a quelle della Francia e quasi 5 volte più numerose di quelle della Germania.

Presidente Berlusconi, andate avanti su questa strada! Semplificate il Paese!

PICCOLA IMPRESA

“1.200 nuove imprese al giorno. Ogni nuova norma riguardante le imprese sia costruita ‘a misura’ delle micro e piccole imprese”

A questo proposito, ai primi di luglio la Commissione Europea presenterà il testo dello Small Business Act che, in linea con la Strategia di Lisbona, ha l’obiettivo di stimolare il potenziale di crescita e di occupazione delle piccole imprese e di ridurre gli adempimenti e i costi a carico degli imprenditori.

Rappresenta una sorta di pietra miliare che può portare ad introdurre in tutti gli Stati dell’Unione europea il principio “Think small first” (“Pensare piccolo, innanzitutto”), in modo che ogni nuova iniziativa legislativa riguardante le imprese sia costruita ‘a misura’ di MPI.

Presidente Berlusconi, in coerenza con questo impegno europeo, oggi sollecitiamo la creazione di un Dipartimento presso la Presidenza del Consiglio con lo specifico compito di valutare l’impatto di ogni nuova normativa sulle micro e piccole imprese e di redigere ogni anno il Rapporto sullo stato della micro e piccola impresa in Italia.

A questo proposito, sappiamo che presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri opera l’Osservatorio per le Medie e Piccole Imprese con l’obiettivo di valorizzare il ruolo della media, piccola e micro impresa.

Da una comunicazione del Presidente del Consiglio Berlusconi, mi viene confermata la determinazione a sviluppare le attività dell’Osservatorio, dotandolo di adeguati strumenti operativi, rafforzando altresì il dialogo con gli operatori al fine di cogliere gli elementi dinamici che caratterizzano il settore per definire strategie volte a consolidare la loro presenza sul territorio ed il ruolo nell’economia del Paese.

Accogliamo questo impegno come un positivo segnale di attenzione alle nostre imprese, alle loro aspettative di sviluppo e di semplificazione.

Se si riuscisse ad eliminare tutto l’attuale carico di inutile burocrazia, le micro e piccole imprese recupererebbero più del 50% del gap di produttività che oggi scontano rispetto alla media di Francia, Germania, Spagna.

Ogni giorno in Italia nascono quasi 1.200 imprese. Eliminare gli ostacoli alla creazione d’impresa non è un quindi un aspetto secondario. Tutt’altro.

A questo proposito, noi proponiamo di privatizzare e liberalizzare l’istruttoria amministrativa, consentendo l’accesso delle imprese alla Pa attraverso soggetti privati operanti sul mercato dei servizi. Noi proponiamo di eliminare i controlli ex ante a favore di controlli ex post rigorosi e mirati.

FISCO

“Insostenibile la pressione fiscale al 43,3% del PIL.

Lotta all’evasione e più semplicità nei rapporti tra fisco e imprese”

Semplicità è quanto sollecitiamo anche nei rapporti tra imprese e fisco.

I contribuenti devono poter rispettare norme chiare e precise ma soprattutto mai retroattive.

Infatti, oltre che dall’enorme peso della pressione fiscale, l’imprenditore è sopraffatto dalla complessità di leggi e adempimenti, da disposizioni contraddittorie.

Il rapporto di fiducia dei contribuenti nell’amministrazione finanziaria, e più in generale nello Stato, basato sul reciproco rispetto, deve scaturire dalla scrupolosa osservanza delle norme stabilite nello Statuto del contribuente, cui peraltro dovrebbe essere attribuito un carattere ben più cogente, magari elevandole al rango di disposizioni a carattere costituzionale.

La pressione fiscale si è attestata al 43,3%, del PIL, con un aumento del 2,8% dal 2005 al 2007: un livello insostenibile che va abbassato con coraggiose riduzioni specialmente a favore delle imprese più virtuose. Solo con una diminuzione delle aliquote nominali può esservi recupero di base imponibile che permetterebbe, nel medio periodo, anche un recupero di gettito.

La lotta all’evasione fiscale deve essere condotta a tutto campo, senza pregiudizi.

Noi vogliamo uno Stato autorevole che sappia selezionare i contribuenti su cui incentrare la propria attività di controllo.

Le imprese oneste devono sentirsi tranquille. Meno tranquilli devono sentirsi i soggetti oggi sconosciuti al fisco sui quali deve concentrarsi prioritariamente un’efficace azione per scovarli e far pagare loro il dovuto.

La trasparenza nel rapporto tra fisco e contribuenti sarà senza dubbio aiutata dallo strumento degli studi di settore se recuperati al loro ruolo originario e per i quali andrà modificata la disposizione che ne prevede un utilizzo retroattivo.

La lotta all’evasione fiscale e il recupero di gettito potranno essere efficacemente perseguiti anche sperimentando nuove forme di contrasto di interesse.

Perché, a questo proposito, non replicare e ampliare la positiva esperienza in materia di ristrutturazioni edilizie?

Va ripensata, inoltre, la tassazione delle piccole imprese avvicinando il momento del pagamento delle imposte all’effettiva disponibilità finanziaria.

Perché allora non introdurre la tassazione per cassa in favore delle imprese con volumi d’affari ridotti che maggiormente risentono del peso del ricorso al credito per il pagamento delle imposte?

Sono, questi, pochi esempi per dire che, se il Governo saprà ricreare un clima di fiducia nelle istituzioni, se saprà tagliare la spesa improduttiva, se saprà rendere più efficiente la macchina pubblica, allora si potrà recuperare quell’etica del prelievo su cui si fonda lo Stato moderno.

Ogni cittadino, come fu affermato da Ezio Vanoni, deve sentire legittima e moralmente doverosa la propria partecipazione all’adempimento tributario.

FEDERALISMO FISCALE

“Una scelta da compiere con coraggio e determinazione

anche per lo sviluppo del Mezzogiorno”

In questo senso, l’efficienza della spesa può essere migliorata collegandola al federalismo fiscale.

Una scelta, quella federalista, da compiere con coraggio e determinazione, ben consapevoli sia degli alti costi finora sostenuti per il “non federalismo” sia del fatto che, per innescare finalmente il processo di sviluppo endogeno di alcuni territori del Paese, è indispensabile avvicinare il luogo del prelievo a quello della spesa come condizione essenziale per responsabilizzare l’azione degli amministratori pubblici locali.

Siamo convinti che nessuno stia pensando di abbandonare al loro destino importanti aree del nostro Paese, soprattutto nel Mezzogiorno che ha vissuto troppe stagioni di ‘finto sviluppo’, con enorme spreco di risorse.

E’ tempo, però, di valorizzare i risultati e le potenzialità delle piccole imprese delle regioni meridionali che, tra il 2003 e il 2005, hanno aumentato il valore aggiunto del 23,5%, mentre nello stesso periodo le imprese più grandi hanno visto calare il valore aggiunto del 3,3%.

Il Mezzogiorno deve quindi saper ritrovare l’orgoglio di una sua rinascita, non solo economica: lo Stato deve riaffermare le condizioni di legalità e di sicurezza, gli amministratori locali devono saper ricostruire, anche culturalmente, la credibilità delle Istituzioni.

Nel Sud le rappresentanze degli artigiani e delle piccole imprese devono riaffermare di più e meglio il loro protagonismo nelle scelte degli interventi più efficaci per costruire uno sviluppo non effimero.

IMMIGRAZIONE

“No all’emergenza. Più politiche integrate per tutelare

gli interessi della società e delle imprese”

Crescita e sviluppo sono strettamente legati anche alla corretta gestione del fenomeno dell’immigrazione.

Non dimentichiamo che gli immigrati trovano opportunità di inserimento economico e di inclusione sociale nel nostro Paese sia come titolari sia come dipendenti di piccole imprese.

Ecco perché, in questo ambito così delicato, abbiamo necessità di politiche integrate per consentire, da un lato, la programmazione periodica degli ingressi improntata a maggiore flessibilità ed aderenza alle reali necessità delle imprese, e dall’altro, per tutelare gli interessi più generali della società.

Bisogna abbandonare la sensazione di una costante emergenza, contrastare la crescita delle presenze irregolari, evitare il ricorso a sanatorie o, più semplicemente, a regolarizzazioni a posteriori come accade ad ogni apertura del decreto flussi annuale.

 

CONTRATTAZIONE

“Sì al federalismo contrattuale.

Il contratto ‘a taglia unica’ non è più adatto al Paese”

Ma crescita e sviluppo non possono esistere senza una piena valorizzazione dei rapporti di lavoro all’interno delle imprese, soprattutto quelle di piccole dimensioni.

In tal senso, c’è bisogno di una nuova stagione di sano federalismo anche in materia contrattuale.

Il contratto ‘a taglia unica’ non è più adatto per un Paese così diversificato e, di fatto, frena lo sviluppo territoriale, tanto al Nord quanto al Sud.

Confartigianato ha anticipato i tempi per superare il ‘dogma’ della centralità del contratto collettivo nazionale di lavoro.

Con l’accordo interconfederale firmato nel 2006 insieme con le altre Confederazioni dell’artigianato e Cgil, Cisl e Uil abbiamo costruito una riforma che assegna al secondo livello contrattuale, che nell’artigianato è territoriale, il compito di distribuire la produttività laddove si realizza e di concorrere, con il livello nazionale, al recupero degli aumenti del costo della vita.

La nostra scelta è stata dettata dalla convinzione che il decentramento contrattuale permette di migliorare sia il livello di competitività delle imprese sia le condizioni dei lavoratori e contribuisce a dare una risposta all’emergenza salari.

Oggi, sul fronte del decentramento della contrattazione – auspicato anche nel Libro Bianco di Marco Biagi – registriamo segnali positivi.

Mi riferisco al documento unitario inviato da Cgil, Cisl e Uil alle Organizzazioni di rappresentanza dell’impresa sulla riforma del modello contrattuale.

Dopo 15 anni di immobilismo, qualcosa si sta finalmente muovendo.

Avviamo con i Sindacati la verifica sul sistema contrattuale, consapevoli di avere già percorso un bel pezzo di strada, partendo dal nostro modello, dall’accordo del 14 febbraio 2006, e chiedendo, in primo luogo, il rispetto dell’autonomia del settore artigiano.

A questo proposito, sempre in nome di quella semplificazione che ci sta a cuore nell’interesse delle imprese e del Paese, avvieremo la riflessione anche sull’opportunità di giungere ad un contratto unico per le diverse categorie dell’artigianato.

Noi crediamo che al centro del sistema di welfare e delle relazioni sindacali vada posta la logica della partecipazione, valorizzando la bilateralità.

Anche in questo ambito l’artigianato è stato il primo settore, venti anni fa, a promuovere lo strumento degli Enti bilaterali, un’esperienza fondata sulla mutualità e gestita direttamente dalle parti sociali che oggi può assumere una straordinaria modernità ed attualità.

 

LIBERALIZZAZIONI

“Basta con le azioni timide: aprire i mercati protetti per ridurre i costi su imprese e famiglie”

“Tra il 2003 e il 2007 Alitalia e Trenitalia hanno perso 5,8 miliardi al giorno”

E ancora: quando si parla di condizioni per migliorare la nostra capacità competitiva non possiamo non denunciare la scarsa concorrenza in cui ancora operano settori fondamentali per l’attività delle imprese: banche, assicurazioni, servizi pubblici, energia, utilities, professioni.

Il percorso di apertura di questi mercati procede per timide approssimazioni successive, per stop and go, ma finora senza gli effetti sperati per le nostre imprese.

Troppo poco si è fatto per abbassare gli oneri di tariffe e servizi essenziali e per liberare cittadini e imprenditori dai pesanti costi derivanti dai mercati protetti e dalle rendite di posizione, per creare un contesto che attragga investimenti esteri.

Basti dire che in Italia la spesa media annua di un conto corrente bancario è di 133 euro, più che doppia rispetto alla media dei Paesi Ue. Tra il 1996 e il 2007, poi, i premi assicurativi in Italia sono aumentati del 120,4%, a fronte di un aumento medio del 40,8% nell’Unione europea.

Non va meglio per ciò che riguarda i trasporti e le infrastrutture: tra il 2003 e il 2007, Alitalia e Trenitalia hanno registrato perdite per 5,8 miliardi, ‘bruciando’ insieme 3,2 milioni di euro al giorno.

Quanto ad Anas, soltanto nel 2006, ha perso 496 milioni di euro.

Troppo spesso si è “deciso di non decidere”, come nel caso della riforma dei servizi pubblici locali che, invece, deve tornare ad essere uno dei fronti principali di ammodernamento del Paese.

Il problema, a mio avviso, non è tanto legato ad una scelta tra pubblico o privato: ci interessa, piuttosto, che venga realizzata una riforma in grado di aprire il mercato dei servizi pubblici locali alla vera concorrenza, introducendo la regola generale dell’assegnazione dei servizi attraverso le gare.

Soltanto così sarà possibile abbassare le tariffe per i consumatori, qualificare e innovare l’offerta, offrire alle imprese una occasione di sviluppo.

 

ENERGIA

“Perché in Italia l’energia costa così tanto?

Il prezzo dell’elettricità è superiore del 38% rispetto alla media europea”

Le piccole imprese italiane sono poi penalizzate dai costi dell’energia, in particolare dal prezzo dell’elettricità che è superiore addirittura del 38% rispetto alla media europea e, dal 2000 al 2007, è aumentato del 48,2% a fronte di un contemporaneo incremento medio europeo del 28,7%.

A questo proposito, il vero problema sta nel comprendere perché in Italia l’energia costi così tanto. E se può essere vero che un’opzione a favore del nucleare può riportarci, nel lungo periodo, a livelli di costi più europei, non si deve dimenticare che i tempi di realizzazione non saranno brevi.

Nel frattempo, le bollette delle imprese continueranno a gonfiarsi.

Quindi, l’invito è a non perdere tempo e a modificare le condizioni all’origine degli alti costi energetici: bisogna fare presto per completare la liberalizzazione dei mercati e per ridurre la pressione fiscale che grava sul prezzo dell’energia a carico delle piccole imprese.

Ma è altrettanto fondamentale ed urgente favorire l’utilizzo delle energie rinnovabili e promuovere l’efficienza energetica.

GIUSTIZIA

“Le imprese chiedono certezza e rapidità.

I ritardi costano agli imprenditori 2,3 miliardi l’anno”

Un altro tema fondamentale per la competitività e anche per l’attrattività del sistema Paese rispetto ad investimenti esteri riguarda l’efficienza della giustizia civile, elemento strategico per la vita delle imprese.

Affrontare e risolvere i problemi all’origine dei ritardi del nostro sistema giudiziario, che impediscono agli imprenditori di esercitare i propri diritti e sottraggono loro 2,3 miliardi di euro l’anno, è fondamentale anche per recuperare terreno rispetto all’Europa.

Le imprese chiedono certezza e rapidità.

Oggi, invece, i tempi della giustizia civile sono inaccettabili: quasi 5 anni la durata media di un procedimento civile, tra primo e secondo grado. I tempi per chiudere un fallimento superano gli 8 anni. Un processo in materia di lavoro, tra primo grado e appello, dura in media oltre 4 anni, così come 4 anni dura una controversia in materia di fisco.

GIOVANI E LAVORO

“Nell’artigianato e nelle piccole imprese il lavoro c’è.

Avvicinare la scuola al mondo del lavoro per restituire

ai giovani la fiducia nel futuro”

“Nel 2007 i nostri imprenditori erano disposti ad assumere 162.000 persone,

ma oltre la metà di esse sono risultate introvabili”

Ecco, c’è molto da recuperare! E noi crediamo che questo percorso non possa essere soltanto meccanicistico, ma debba essere preceduto e accompagnato da un senso civico che faccia leva sul coraggio e sull’orgoglio.

Quell’orgoglio che rivendico alle nostre imprese le quali, nonostante i vincoli che le frenano e le mille difficoltà in cui si dibattono, animano la nostra economia e sono strumento di coesione ed inclusione sociale.

Sto parlando degli oltre 4 milioni di artigiani, di micro e piccole imprese, vale a dire il 98,2% della struttura imprenditoriale del Paese, che danno lavoro al 59,3% degli addetti, realizzano il 43,9% del valore aggiunto e il 39,4% degli investimenti.

Quelle imprese che hanno lottato con grande coraggio e oggi con orgoglio continuano a competere, contribuendo allo sviluppo del Paese.

E che paradossalmente lamentano grandi difficoltà a trovare lavoratori dipendenti, come emerge da un nostro rapporto che denuncia l’emergenza manodopera nelle piccole imprese: nel 2007 i nostri imprenditori erano disponibili ad assumere 162.000 persone, ma oltre la metà di esse sono risultate introvabili.

Un altro mito da sfatare, quindi: non è vero che la ricerca di buona occupazione incontra soltanto precariato.

Certo, bisogna essere disposti ad imparare un mestiere, a sporcarsi le mani. Con la prospettiva, poi, di valorizzare sul mercato del lavoro le competenze acquisite e anche di metterle a frutto aprendo un’impresa.

Per fare questo, bisogna però che i giovani abbiano il coraggio e l’intelligenza di scommettere su se stessi, sulle proprie capacità d’iniziativa.

Confartigianato non indica ‘ascensori sociali’. Ma una scala che va salita gradino dopo gradino, per costruirsi un’occupazione stabile e gratificante.

Ed ecco, allora, un’altra delle riforme cui metter mano per agganciare la ripresa: costruire un sistema di formazione adeguato alle nuove sfide della competizione economica.

In questo senso, accogliamo e condividiamo quanto indicato dal Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi: i protagonisti della ripresa devono essere coloro che hanno in mano il futuro, i giovani, oggi anche mortificati da un’istruzione inadeguata.

Ciò significa avvicinare la scuola al mondo del lavoro, colmare la distanza che oggi divide il sapere dal saper fare, la conoscenza teorica dalle competenze tecniche e pratiche.

Per questo noi chiediamo di innalzare la qualità della formazione e di prevedere efficaci forme di alternanza scuola-lavoro, potenziando un contratto di lavoro a peculiare contenuto formativo quale l’apprendistato.

Il futuro dei nostri giovani e la competitività del Paese sono strettamente connessi e, a loro volta, dipendono dalla capacità di stabilire un forte legame tra le scelte di politica economica e il nostro sistema formativo: la formazione iniziale e quella continua, l’istruzione tecnica superiore, l’Università, la ricerca, soprattutto quella applicata.

Anche in questo ambito le riforme vanno riprese ed attuate con grande determinazione per restituire fiducia ai tanti giovani che oggi guardano disorientati al loro futuro.

CONCERTAZIONE

“Ascoltare tutti. Ma stop ai diritti di veto”

Semplicità e coraggio di cambiare: questo è quanto ci aspettiamo anche in materia di concertazione.

In tal senso abbiamo condiviso le prime considerazioni ed indicazioni espresse dai rappresentanti dell’Esecutivo.

Auspichiamo modalità di confronto migliori, più efficaci, meno dispersive. Siamo convinti che la concertazione debba trovare un ambito più ristretto e rispondente alle esigenze di rappresentanza delle imprese.

Ascoltare tutti, certo, ma evitando una liturgia della concertazione che sacrifica la qualità del risultato all’assemblearismo, alla mediazione esasperata, ai diritti di veto.

Stare al merito dei problemi e, quindi, decidere. Questo vogliamo che accada al tavolo di Palazzo Chigi e in tutte le sedi di confronto istituzionale.

Noi, lo ribadisco, siamo per la semplificazione, anzi per la semplicità. In tutti gli ambiti, anche in quello delle modalità di rappresentanza degli interessi delle imprese.

Ne è prova l’esperienza che da quasi due anni abbiamo promosso con altre Organizzazioni assieme alle quali rappresentiamo oltre 4 milioni di micro e piccole imprese.

Il nostro sforzo è rivolto a fare sintesi delle aspettative comuni dei nostri associati e, più in generale, di chi oggi vuole fare impresa nel nostro Paese.

E ciò perché condividiamo la responsabilità di offrire risposte nuove ed efficaci al 98% del sistema imprenditoriale e l’interesse a dare voce all’impresa diffusa che soffre di troppe sottovalutazioni.

Questo per dire che, tutti insieme, ognuno per la propria parte di responsabilità, dobbiamo recuperare la voglia di cambiare.

Siamo pronti a fare la nostra parte.

Al governo chiediamo coraggio e orgoglio delle decisioni.

Presidente Berlusconi, noi siamo pronti a partecipare ad un programma di riforme che, superata la fase elettorale, appaiono sempre meno di destra o di sinistra e sempre più legate ad esigenze di modernizzazione e miglioramento della qualità del lavoro e dell’impresa.

Siamo pronti a fare la nostra parte,ben consapevoli ed orgogliosi del patrimonio economico e sociale rappresentato dai nostri imprenditori, con le loro aziende e le loro famiglie.

Da chi guida il Paese ci aspettiamo il coraggio e l’orgoglio delle decisioni.

pdf08giu12_iaol_speciale-assemblea.pdf

Confartigianato Imprese Macerata – Ascoli Piceno – Fermo